“Egli cioè doveva risuscitare dai morti”

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Speciale Pasqua

L’omelia del Vescovo al Pontificale di Pasqua

“Egli cioè doveva risuscitare dai morti”

La pagina del vangelo di Giovanni rimanda all’esperienza storica dei discepoli di fronte alla morte-risurrezione di Gesù, ma anche alla fede richiesta per comprendere e ‘credere’ nella risurrezione di Cristo. Siamo all’inizio della settimana: l’avventura e le speranze dei discepoli di Gesù si sono concluse davanti alla pietra arrotolata all’imboccatura del sepolcro in cui Gesù fu posto. Mancava ancora qualche atto di pietà per il corpo del loro Maestro. Ci avrebbero pensato le donne che erano state al suo seguito. Meglio andare appena possibile, alle prime luci dell’alba, passato il sabato. Ma ecco la scoperta delle donne: la pietra era stata spostata ed il sepolcro era aperto. Cosa era successo? Vengono informati gli apostoli, Pietro e l’altro discepolo, quello che Gesù

amava: “Hanno portato via il corpo!”. I due corrono affannosamente al sepolcro; il più giovane arriva prima, ma attende che sia Pietro ad entrare per primo. Non c’è più il corpo di Gesù, però sono rimaste le bende ed il sudario in cui era stato avvolto. Chi poteva essere interessato a trafugare il corpo di quel morto, prendendosi la briga di togliere bende e sudario e di lasciarli ripiegati, specie il sudario che avvolgeva la testa, quasi che ci fosse ancora il capo dentro? Pietro non sa che pensare e la risposta gli verrà dall’incontro successivo con il Cristo. Ma il racconto evangelico si conclude dicendo che l’altro discepolo “vide e credette”. Quelle bende e quel sudario in quella particolare posizione rimandano ad una comprensione più profonda del pensare ad un furto del cadavere. È la fede che permette di interpretare e capire quella situazione, riandando alla promessa stessa del Maestro, “che egli cioè doveva risuscitare dai morti”: quella che doveva essere l’alba che concludeva definitivamente l’interesse dei discepoli per il loro maestro con le ultime cure portate al suo corpo morto diviene invece l’alba dei tempi nuovi, quelli di una nuova e definitiva presenza e comunione del Maestro con i suoi. Quella pasqua era l’origine di tutte le successive pasque fino all’ultima, quella del definitivo incontro del credente col suo Signore, non al sepolcro ma “nel Cielo”.

 

“La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”.

In poche battute Paolo illustra il frutto della morte-risurrezione di Gesù per coloro che nella fede vivono già in comunione con Lui. Gli effetti riguardano sia il presente che il futuro della vita dei credenti. “Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!”. Ecco dunque la nuova realtà del credente in Cristo: egli appartiene già alla sorte di Cristo risorto, come già morto a tutto ciò per cui Cristo è morto, cioè al peccato, e già partecipe della condizione del Signore risorto, anche se questa realtà è nascosta, velata. Essa però sarà manifestata pienamente solo nella manifestazione finale di Cristo: allora apparirà in tutta la sua luminosità la nuova condizione dei credenti, ciò che ha portato ad essi la risurrezione di Cristo: “Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella Gloria”. Questa nostra attuale solidarietà con il destino di Cristo morto e risorto mette in moto in noi un nuovo criterio di vita, conseguente alla nuova condizione: “Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Non si tratta di fuggire dal mondo, ma di non essere più disponibili al modo di pensare e di vivere ‘terreno’ caratterizzato dal vizio, dall’insaziabile avarizia, dalla violenza; ma di pensare alle realtà celesti, cioè alla nostra nuova realtà di redenti, di salvati, di chiamati alla santità e alla comunione con Dio. “Credo in un solo Signore, Gesù Cristo … crocifisso per noi… il terzo giorno è risuscitato dai morti … aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà…”. È questa la fede che oggi, festa di Pasqua, celebriamo. È una fede che ha come fondamento un fatto accaduto nella storia dell’umanità, nel passato, ma le cui conseguenze segnano sia il presente come il futuro dell’uomo, meglio ancora, il nostro presente ed il nostro futuro.

 

 

da NUOVA SCINTILLA 15 del 15 aprile 2012