Settembre, mese di cambi nella Chiesa diocesana

vescovo-adriano
Facebooktwitterpinterestmail

COMMENTANDO…

Settembre, mese di cambi nella Chiesa diocesana

A settembre tanti Chioggiotti e Marinanti rallentano il lavoro per la partenza dei villeggianti e pensano ad un po’ di riposo. Anche per preti e parrocchie in questo mese ci può essere una relativa calma. E potrebbe essere tempo propizio per predisporsi all’inizio del nuovo anno pastorale ormai imminente. Vorrei porre all’attenzione di tutti il fatto che proprio in questo mese avviene il trasferimento di alcuni presbiteri da comunità o incarichi diversi. A giugno sono giunte le nomine, magari attese con qualche curiosità o timore, ma in questo mese avviene il cambio e la nuova assunzione di responsabilità. Il cambio e quindi l’accoglienza di un nuovo e diverso sacerdote va visto sia dagli altri sacerdoti della parrocchia, dell’unità pastorale o del vicariato come sia dalle parrocchie come accoglienza di un dono del Signore. Con lui dovrà nascere la nuova collaborazione, utilizzando e apprezzando doni e competenza e la sua disponibilità al servizio. Non prevalga l’attitudine a rimpiangere il passato ma ad accogliere e collaborare chi il Signore manda in questo preciso momento. E’ alla luce di queste prospettive di fede, carità e speranza, che l’attività pastorale della Chiesa si differenzia da una qualsiasi azienda. Come ogni altro uomo anche ogni sacerdote si porta dietro i suoi limiti, le sue fragilità e la sua storia insieme al desiderio di crescere, di servire il Signore e i nuovi fratelli affidati al suo ministero. Ricominciare non è mai facile per nessuno, sia per chi accoglie che per chi arriva, ma è un atto di fede e di carità reciproca, è un credito di fiducia. Vale per preti e laici il pericolo di considerare le partenze come una perdita, dati i rapporti di amicizia e di lavoro che si sono instaurati in tempi più o meno lunghi di vicinanza e collaborazione, magari sentendo il nuovo arrivato come un estraneo, o addirittura come un pericolo per le proprie abitudini, per i propri metodi di lavoro e per i propri ruoli e relazioni già consolidati. Talvolta giudizi o pregiudizi già precedono il nuovo sacerdote che arriva, magari anche per conoscenze precedenti, senza però offrire credito e sostegno di crescita. Sia parrocchie che preti sono invitati a superare queste pretese o giudizi, disponendosi interiormente a lavorare insieme nella stessa vigna del Signore. Mi tornano alla mente alcune esperienze dell’Apostolo Paolo vissute nel bel mezzo del suo ministero nella comunità dove di più ha lavorato, quella di Corinto. Potrebbero con frutto precedere e accompagnare questi cambiamenti, da vivere non con timore in nome delle diversità dei propri riferimenti a persone, metodi o doti diverse. Ascoltiamo quattro piccoli passaggi della sua testimonianza.

– “Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, e “io di Cristo”. È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? (1Cor 1,12-13). Il fatto di riferirsi a diversi apostoli o missionari diventa nella Comunità motivo di divisione anziché di comunione nell’unico vangelo. E Paolo conclude: “Io sono di Cristo!”. Questo vale per tutti, perché è Lui che fu crocifisso per tutti. Attorno a Lui si fa comunione non divisioni. La divisione avviene quando ci si contrappone nel nome degli apostoli Pietro, Paolo o Apollo diventato annunciatore. Corriamo oggi questo pericolo?                                                                              – “Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”(2Cor 2,1-5). Ogni presbitero è inviato perché vive l’esperienza di Cristo crocifisso, cioè fattosi dono per i fratelli e obbediente al Padre. Su di lui sono state imposte le mani invocando lo Spirito, perché il suo ministero tragga fondamento dallo Spirito, Potenza di Dio. Ogni presbitero è portatore dell’amore di Cristo e della Potenza dello Spirito: attorno a questi doni si fa unità, non principalmente attorno alla sua sapienza.                                                                               – “Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere…. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio (1Cor 3,4-6.9). Non guardiamo al prete esclusivamente con criteri umani, perché “èDio che fa crescere”! Ogni sacerdote è collaboratore di Dio perché nel suo campo e nella sua vigna maturino i frutti attesi da Dio. Questo dice anche la grande responsabilità con cui un prete si deve prendere cura del campo e della vigna di Dio e dei collaboratori nel medesimo ministero!                                                                                     – “Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1Cor 4,1-2.21-23). Ecco la caratteristica e la missione di ogni prete: “essere servo di Cristo e amministratore dei misteri di Dio”. Questo è il dono e la missione che il Padre affida ad ogni presbitero per mezzo della Potenza dello Spirito cui ad ogni presbitero è richiesto di rimanere fedele. Di questo dono e missione preti e comunità devono andare fieri, dono e missione che non vanno rifiutati a causa di una maggiore valutazione dell’umana simpatia e doti diverse. E il presbitero deve essere consapevole e responsabile del dono ricevuto e essergli fedele con tutte le forze. Queste riflessioni potrebbero essere una buona opportunità per le comunità, in occasione del saluto e all’accoglienza dei preti ‘in cambio’, non calcando eccessivamente le tante e spesso troppe preoccupazioni esteriori. Perché, finita la festa, questi pensieri e atteggiamenti accompagnano la vita vera del prete nel suo ministero.

Un cordiale augurio a sacerdoti e comunità cristiane, assicurando la preghiere per tutti.

+ Adriano Tessarollo

 

Nuova Scintilla n.33 – 03 settembre 2017