Una riflessione liturgica sulla festa della “Presentazione del Signore”

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Una riflessione liturgica sulla festa della “Presentazione del Signore”

Giovedì prossimo 2 febbraio è la festa della “Presentazione del Signore”, festa caduta quasi in disuso per la comunità cristiana. Una festa nata sul finire del 300 a Gerusalemme. Una pellegrina che in quegli anni visitava i luoghi santi nel suo diario scrive: “Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande onore. Quel giorno si va in processione alla chiesa eretta sul santo sepolcro, vi si recano tutti e ogni rito si svolge secondo l’uso prestabilito, con la massima esultanza, come si fa per Pasqua. Predicano anche tutti i sacerdoti e poi il vescovo, commentando sempre il passo del vangelo in cui si narra che il quarantesimo giorno Giuseppe e Maria portarono il Signore al tempio e lo videro Simeone e la profetessa Anna, figlia di Fanuele, e le parole da loro pronunciate alla vista del Signore, e l’offerta che fecero i genitori. Poi, compiuto per ordine tutto quanto è consuetudine fare, si celebra l’Eucaristia”. Tra i riti ricordati dunque c’è il lucernario, cioè l’accensione di numerose lampade dalla fiamma che ardeva nel santo sepolcro, luogo da cui è divampata la Luce del mondo. Il tutto doveva svolgersi con la stessa solennità della Pasqua.

Con questo rito preparatorio, seguito dalla celebrazione del sacrificio eucaristico, si concludeva il ciclo natalizio e si preannunciava quello pasquale. Tale festa fu poi estesa anche alle altre chiese e chiamata festa dell’Incontro, caratterizzata dalla processione con i ceri e fissata al 2 febbraio, 40 giorni dopo il 25 dicembre. Nell’omelia della festa si ricordava anche la figura della Vergine, con riferimento all’oracolo di Simeone circa la spada: “E a te una spada trafiggerà l’anima”, parole che preannunciano le cose che accaddero a Maria presso la croce. In una omelia Origene concludeva: “È cosa degna, dunque, o fratelli, celebrare la Vergine Madre di Dio. E chi può lodarla? È diventata Madre di Dio e nello stesso tempo è rimasta vergine, tesoro di benedizione, gioia del mondo, vigna che germinò il tralcio della vita, sposa vergine, campo ricco che produsse la spiga cresciuta senza che fosse coltivata e che nutrì l’universo intero con il pane della vita confezionato dal suo frutto; sorgente che fa scaturire un’onda eterna… A ragione il creato ti glorifica e tutti gli uomini ti venerano”. Mi piace richiamare un’esortazione tratta da un’omelia, scritta attorno al 620: “Noi tutti che celebriamo… il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno si sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre dell’oscurità. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce”.

Festa quindi dell’incontro con la Luce: celebriamo dunque il mistero del nostro incontro col Signore, accogliendolo come Maria, come Simeone e Anna nel rito del lucernario e nella celebrazione del sacrificio dell’eucaristia.

Il cero portato a casa rimanga memoria di Cristo Luce che ci illumina e rimane tra noi.

+ Adriano Tessarollo

Da Nuova Scintilla n.4 – 29 gennaio 2017