Capi e/o Pastori?

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Commentando… (del vescovo Adriano)

Capi e/o Pastori?

Nel linguaggio corrente chiamiamo con il termine ‘capo’ chi è preposto a guidare una realtà: capo-ufficio, capo-partito, capo-scout, capo dell’esercito, capo del governo, capo dello Stato, capo della Chiesa, e così via. Pensavo che anche nella Bibbia si usa questo termine. Ma accanto a questo ce n’è un altro, con il quale si vuole sottolineare le qualità che il capo deve avere. È il termine ‘pastore’. Questo termine viene più facilmente usato nel linguaggio ecclesiastico per indicare la qualità e lo stile che dovrebbero caratterizzare i parroci, i vescovi e anche per il papa. Certo che abbiamo ancora tanta strada da fare per essere veri pastori che, come dice Gesù, “offrono

la vita per le pecore” (Gv 10,11). Ma mi chiedo se anche il cristiano impegnato in politica, in economia, nell’amministrazione pubblica, nei quadri direttivi, come ‘capo’, non dovrebbe confrontarsi, proprio in quanto cristiano e ‘capo’, con la qualità pastorale dell’esercizio del suo ruolo di ‘capo’ in quell’ambito che si trova a presiedere e guidare. Dovremmo tutti, sia ecclesiastici che laici cristiani, in coerenza con la nostra fede, confrontarci con questa pagina del profeta Ezechiele (34,1-16): “I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. … Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi… le mie pecore non saranno più il loro pasto”. Ed ecco il ritratto del pastore ideale: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”. Mentre in Zc 11,16 abbiamo il ritratto del cattivo pastore: “un pastore che non avrà cura di quelle che si perdono, non cercherà le giovani, non curerà le malate, non nutrirà quelle ancora sane; mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro persino le unghie”.     Ce n’è per tutti! Come è possibile che uno si senta di vivere questa qualità di capo-pastore quando permangono così grosse diseguaglianze di vita, di retribuzioni, di pensioni, sapendo comunque che tutti questi compensi ‘squilibrati’ provengono quasi sempre da ‘prelievi’ forzati da tutti, dalle famiglie e dai singoli che si trovano in serie o gravi difficoltà di vario genere? Talvolta si ha davvero l’impressione che ci sia chi mangia le carni non solo delle pecore più grasse ma anche delle più magre e strappi loro persino le unghie. Naturalmente alla parola pecore basta sostituire le parole persone e famiglie. Me nessuno sente la necessità morale di cambiare e di rivedere qualcosa? (+ vescovo Adriano)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 6 del 9 febbraio 2014