La fede in Gesù Cristo fa la grande differenza

Facebooktwitterpinterestmail

L’OMELIA DEL VESCOVO ADRIANO PER LA FESTA DEI SANTI PATRONI FELICE E FORTUNATO

La fede in Gesù Cristo fa la grande differenza

Ritorniamo a celebrare la festa dei santi martiri Felice e Fortunato a 17 secoli di distanza del loro martirio, in un secolo nel quale numerosissimi tornano ad essere i martiri: i dossier parlano di oltre 100 milioni di vittime cristiane in condizioni di detenzione e persecuzione, di decine di migliaia di cristiani uccisi per ragioni strettamente legate alla loro fede e di qualche migliaio di chiese colpite per la stessa ragione, barbarie che proprio un tempo che avanza pretese di progresso culturale rivela invece un preoccupante aumento dell’intolleranza specificamente verso i cristiani. È vero che abbiamo appena ascoltato dal vangelo di Giovanni: “Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene, ma io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15,18s). Questo ci dice che il martirio è una dimensione dell’imitazione di Cristo, che è stato martire della verità, come lui stesso ha confessato davanti a Pilato, qualche ora prima di affrontare il suo martirio: “Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Nell’Apocalisse al cap. 7 leggiamo la visione dei salvati, una moltitudine di uomini e donne di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Ma tra di loro spicca un gruppo vestito di bianco dei quali si dice: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario”. Oggi la “grande tribolazione” si rinnova ed è presente in tanti paesi dove migliaia di Cristiani sono martirizzati, venduti, torturati, svantaggiati, discriminati e addirittura crocifissi, a fronte dell’indifferenza di tutti e anche di noi cristiani. Già Giovanni Paolo II scriveva nella lettera apostolica Tertio Millennio adveniente: “Al termine del secondo millennio, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri”. Solo poche volte il mondo informa o si interessa del martirio cristiano, si interessa solo quando si tratta di attacchi terroristici in Occidente. Più volte anche papa Francesco ha ricordato che nel secolo scorso sono stati perseguitati e martirizzati più cristiani a causa della loro fede che nei primi tre secoli insieme.

Il martire non soltanto soffre la morte passivamente, ma offre liberamente la sua vita come Cristo e raggiunge così l’ideale della comunione con Cristo, che è innanzitutto testimone dell’amore di Dio, quell’amore che Dio stesso ha riversato nel suo cuore (Rm 5,1-5) a cui si affida. Il martire non dà testimonianza di una regola o di una ideologia, ma dà la sua vita liberamente diventando così segno di una nuova libertà nata da un incontro personale con Dio che è amore, che ha cambiato la sua vita quando ha incontrato Gesù Cristo. Il cristiano è una persona che ha trovato Cristo, che ha conosciuto Cristo e che da quel momento in poi vive insieme a lui. Tutta la vita diventa o dovrebbe diventare segno della presenza di Dio. Da questo rapporto i martiri hanno la forza di resistere allo strapotere dell’ideologia e dei suoi organi politici fino alla morte. Per questo i martiri, come anche si dice di Felice e Fortunato, nell’ultimo momento della loro vita terrena pregano.

Altro elemento tipico della testimonianza del martire è la speranza nella vita eterna: è quello “il salario che non verrà mai meno” (Sir 2). C’è la lucida consapevolezza che la vita terrena è limitata, che in questa siamo pellegrini, che “Se avessimo speranza in Cristo soltanto in questa vita, saremmo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma invece Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono” (1 Cor15,19s). Un insegnamento importante per noi oggi immersi sempre più nel materialismo che offusca, se non annulla, questa realtà essenziale della fede cristiana. A causa della perdita di questa dimensione della fede forse, specie nella nostra cultura europea, il martire è visto più con uno sguardo di compassione per ciò che ha perso. Forse guardiamo anche noi la loro sorte con occhi umani o anche da stolti come leggiamo nel libro della sapienza: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, una disgrazia fu considerata la loro dipartita, e il loro viaggio lontano da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini sono dei castigati, la loro speranza è piena d’immortalità. Dopo un breve soffrire, saranno largamente beneficati, perché li ha provati e li ha trovati degni di sé” (Sap 3,1-4). La loro fede in Gesù Cristo fa la grande differenza e la vita viene considerata e misurata con l’occhio sapiente rivolto alla presenza di Dio che diventa definitiva in quell’incontro finale che è la morte. Che i martiri intercedano per noi la fede in Dio, la vita nello Spirito e l’amore a Cristo, la partecipazione cioè alla vita divina e trinitaria senza fine.

+ Adriano Tessarollo

Nuova Scintilla n.24 – 18 giugno 2017