Popolarità e giusto equilibrio

vescovo
Facebooktwitterpinterestmail

COMMENTANDO…

Popolarità e giusto equilibrio

L’aggettivo ‘popolare’ si usa anche (non solo) per una cosa o realtà “che gode il favore del popolo o che è noto alla gente”.      “A bocce ferme”, mi permetto alcune osservazioni sul referendum di domenica scorsa 22 ottobre nel Veneto. Guardando i risultati si dovrebbe ammettere che esso centrava il favore del popolo, che quindi era una proposta ‘popolare’, cioè comprensibile alla gente comune. Chi si è astenuto o ha consigliato di astenersi, ferma restando la libertà di scelta personale e di comunicarla per invitare altri a condividerla, non ha interpretato il sentire ‘popolare’. Chi ha approvato il referendum e ha dato il suo consenso, ha visto in esso una possibilità di esprimere un certo malcontento verso la situazione attuale in cui si trova il Veneto rispetto al Governo Centrale e verso la situazione di altre Regioni, sotto vari punti di vista, forse non ancora bene definiti o chiariti. Sarà bene che chi ora gestisce o utilizza questo consenso non lo strumentalizzi per quello che il popolo non voleva dire o non pensi di snobbarlo impunemente. C’è un dovere di fedeltà ‘popolare’, cioè a ciò che gode il favore del popolo, senza uscire dai binari di quanto si poteva intendere con quella formulazione, senza forzare e senza ignorare. A buon intenditore poche parole! Non è certo ‘popolare’ il ‘Rosatellum’, perché se chiedete al popolo di esprimersi su di esso nessuno o quasi saprebbe dire di che si tratta, anche se poi sarà chiamato ad esprimersi attraverso di esso, a occhi chiusi. Di certo non è una legge ‘popolare’, né per comprensione e forse neanche per il favore popolare che trova; azzardo a dire che forse non lo è neanche per tutti coloro che l’hanno votata e la voteranno.

Credo invece sia stata una mossa poco ‘popolare’ firmare e pubblicare la convenzione tra Governo e Regione Emilia Romagna qualche giorno prima di detto referendum, come per dire al popolo: il vostro voto non serve a niente e forse manco ci interessa. Ma si sa, l’interesse partitico prevale sull’interesse ‘popolare’; è solo mio sentire. Ciascuno potrà pensarci.

Ritengo pure ‘impopolare’, cioè non gradito al popolo, il fatto che il Ministero dell’Interno nell’imminenza del referendum mandi il conto anticipato da pagare alle due Regioni per assicurare l’ordine pubblico ai seggi. Ma se è una attività pubblica riconosciuta e approvata dagli organi competenti, perché se la devono pagare i cittadini? Ma quando ci sono le manifestazioni sindacali, di partito, di qualsiasi gruppo, sportive e qualsiasi altra, anche di quelle che finiscono con danni a persone e cose, perché l’ordine pubblico è garantito a spese di tutti, e questo invece no? Chi è andato a votare non era un gruppuscolo di qualche indirizzo culturale o eversivo: erano milioni di persone che pagano le tasse a questo Stato cui è stato chiesto ed ottenuto il consenso di esprimere un parere e pensiero su una situazione che li riguarda come ‘popolo’. Si poteva condividere o meno, ma una volta autorizzato va garantito da chi rivendica l’autorità di negarlo o autorizzarlo. Ma qui è il solito pregiudizio culturale-politico di chi, ad esempio, si riserva di autorizzare o negare la scuola pubblica paritaria (si provi a pensare al significato dei due termini pubblica e paritaria usati dalla Legge), di esigerne le regole e il controllo, ma si rifiuta di finanziarla come finanzia la pubblica statale. E siamo sempre nel cosiddetto ‘regime di libertà e di uguaglianza’ tra cittadini che pagano le tasse. Come il referendum, così la scuola pubblica paritaria: riconosciamo, approviamo, controlliamo, ma ve li pagate. Per altre cose invece la musica è diversa.  Pensiamoci.

+ Adriano Tessarollo 

Da Nuova Scintilla n.41 – 29 ottobre 2017